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"Yonban sādo" (1) di Aoyama Gōshō

L'inizio dell'estate 1993, ero appena tornato per la seconda volta a Tōkyō. L'emozione delle prime escursioni, le scoperte, l'osservazione, il girovagare senza una meta, nulla si era sopito col primo viaggio. Edicole e librerie erano una manna colorata per gli occhi. I manga richiedevano attenzioni veloci, letture da treno metropolitano. Una volta rotto il ghiaccio, c'era il rischio di farsi travolgere. Finito uno, mi precipitavo a sfogliarne un altro, senza un attimo di pausa. L'ansia di leggerne il più possibile prima di tornare in Italia saliva, non riuscivo a farne a meno.



La memoria mi riporta alla libreria Hōrindō di Takadanobaba, che frequentavo spesso per motivi logistici. Aoyama Gōshō era in procinto di congedarsi dalle avventure del samurai "Yaiba". All'epoca Aoyama era un mangaka già abbastanza noto, non ai livelli attuali, ma già capace di vincere il premio "Shōgakukan" del 1993. Celebre Aoyama lo sarebbe diventato di lì a pochi mesi, grazie all'exploit di "Detective Conan". Il 1993 fu dunque l'anno di transizione in attesa del botto che fece "Detective Conan". Aoyama approfittò della breve pausa per disegnare alcune storie brevi, una delle quali trattava di baseball. Il mangaka volle dedicarla alla squadra dei Tōkyō Giants, la sua preferita. 

Mentre cercavo di intercettare qualunque manga trattasse il Kōshien, mi ritrovai tra le mani proprio quell'one shot di Aoyama. Era stato pubblicato da appena due mesi e si intitolava "Yonban sādo" ("Terza base, quarto battitore"), un manga autoconclusivo di circa 180 pagine suddiviso in sei capitoli. La copertina raffigurava un ragazzino in posizione di battuta, con lo sguardo minaccioso e l'uniforme numero 3. Sullo sfondo, si intravvedeva la foto reale della facciata del Kōshien ricoperta di edera. Mi resi subito conto che aveva un titolo curioso.



Al tempo stavo faticando per recuperare le serie di "Touch", "Dokaben" e "Yattarōjan!", quindi i soldini scarseggiavano e purtroppo i Book-Off non erano ancora diffusi. Mi avvicinai un po' titubante allo scaffale. Dopo aver riletto la trama della retrocopertina, acquistai l'albo quasi controvoglia. A una prima occhiata lo stile non mi entusiasmava molto, troppo infantile per i miei gusti. Per giunta, non conoscevo Aoyama e solo tempo dopo mi resi conto che "Yonban sādo" e "Detective Conan" erano figli della stessa matita. 

Ben presto mi dovetti ricredere. La storia era divertente, ricca di particolari, scorrevole e ben confezionata. Inoltre riusciva ad attestarsi su un livello medio alto che non mi sarei mai aspettato all'inizio, quando supponevo che il fattore "magico" avrebbe di certo fatto a pugni con la rigida realtà del baseball. Invece l'elemento sovrannaturale in quella trama sportiva era sapientemente dosato e non produceva cadute nel ridicolo. Anzi, l'autore era riuscito a conciliare entrambi gli aspetti e li aveva sviluppati in modo originale e simpatico. Tirate le somme, il risultato era una storia che agli occhi di un pubblico smaliziato poteva apparire superficiale e un po' fasulla, ma di certo aveva le potenzialità per coinvolgere i lettori non troppo esigenti.



Nagashima Shigeo 

Cosa spinge un genitore a dare al figlio un nome celebre nella speranza che questo possa in qualche modo influire sul destino del bimbo? Un bambino che  viene chiamato Michelangelo avrà più possibilità di altri di diventare un grande artista? E uno chiamato Cesare potrà aspirare più di altri a qualche carica di potere? Penso anche al disagio di un bambino che faccia Giuseppe di nome e Garibaldi di cognone. 

Identica cosa accadrebbe in Giappone se un padre patito di baseball, che di cognome fa Nagashima, decidesse di chiamare il figlio Shigeo. Ulteriore aggravante è scegliere gli stessi ideogrammi del nome del campione, una mossa che potrebbe influenzare la vita del poveretto a causa dell'ironia della gente. A maggior ragione se il ragazzino, per quanto volenteroso, col baseball non ci azzecca nulla.

Nagashima Shigeo è un nome che appartiene a uno dei personaggi sportivi più famosi del Giappone. Soprannominato "Mister Giants", casacca numero 3, potente quarto battitore, Nagashima Shigeo (si legge "scigheo") detiene una sfilza impressionante di record ed è solitamente uno dei primi nomi che si accostano ai Giants di Tōkyō. Un campione che rimarrà per sempre nella leggenda del baseball giapponese. 



L'inizio di "Yonban sādo" 

Nagashima Shigeo, studente al secondo anno del liceo Kōnan, milita con poca fortuna nel club di baseball locale. Nonostante gli sforzi per migliorarsi, Shigeo patisce continuamente le umiliazioni sul campo a causa del nome ingombrante che si porta dietro. 

Una sera, sulla via di casa incrocia il "Nazono", uno strano negozio di articoli sportivi che non aveva mai notato prima. La curiosità lo spinge a entrare e incontra un arzillo vecchietto, il tenutario, e si confida con lui, raccontandogli sconsolato delle sue tribolazioni col baseball. Il vecchio, impietosito, promette di donargli una mazza magica, che a suo dire apparterrebbe niente meno che a uno spirito. Gli dice, quindi, di tornare al negozio a mezzanotte in punto per ritirarla. 

All'ora prestabilita, Shigeo si reca al negozio, ma trova le serrande abbassate. Convinto di essere vittima dell'ennesima presa in giro, il ragazzo si sfoga battendo i pugni sulla saracinesca. Deluso, decide di tornare a casa, quand'ecco che incrocia un misterioso personaggio con l'uniforme numero 14 dei Giants, il quale gli consegna una mazza, dicendogli che si tratta della "kamisama no batto" ("la mazza divina") che era appartenuta addirittura al mitico Babe Ruth...


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