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"Monjirō samurai solitario" (3) di Ichikawa Kon

Monjirō estrae la sua spada (un "wakizashi" lungo) solo quando l'avversario lo provoca e lo attacca. Ma forse non è questo il modo più corretto di spiegarlo. Monjirō estrae la sua spada solo quando viene aggredito e percepisce che il suo avversario è capace di usare una spada. 

Ammazzare indiscriminatamente le persone durante una lite avrebbe attirato le ire delle autorità che probabilmente l'avrebbero braccato per tutto il paese. Quando l'avversario è uno spadaccino arruffone, Monjirō cerca di evitare inutili uccisioni utilizzando un colpo chiamato "mine-uchi", cioè colpisce l'avversario col "mine", il filo della lama smussato, o tramite un "saya-uchi", cioè con il "saya", il fodero. "Uchi" significa colpo, fendente.



La tecnica della spada di Monjirō è unica. Si muove spesso e corre cercando di disturbare l'avversario e di confonderlo. Un metodo efficace soprattutto se si affronta un gruppo di nemici. In "Monjirō samurai solitario" non si assiste al sontuoso gioco di spade tipico del "kenjutsu" ("l'arte della spada") con le sue pose marziali che spesso si vedono negli sceneggiati d'epoca. A differenza dei samurai, gli improvvisati spadaccini erranti non avevano dimestichezza con l'arte formale della spada. Infatti occorrevano anni di addestramento per utilizzare l'arma nella maniera corretta e nonostante tutto era inevitabile compiere degli errori. 

I giovani destinati a diventare samurai iniziavano l'apprendistato già a tredici anni, dopo aver ricevuto il permesso di portare una spada. Se fosse stato possibile imparare questa disciplina senza l'aiuto di un maestro non sarebbero mai sorte le "dōjō" e i loro famosi istruttori. Quanto a Monjirō, solo l'esperienza di combattimento acquisita attraverso le infinite scaramucce gli protegge la vita.



Il palcoscenico si apre durante l'Era Tenpō, poco prima della metà del 1800. L'Era Tenpō (1831-1845), un'epoca instabile e spesso brutale, anticipò di poco la fine del periodo Edo. Si tratta di un periodo in cui il potere assoluto dello shōgunato aveva cominciato a perdere colpi. Da quel momento in poi la carestia causata dal grande freddo provocò frequenti rivolte e gravi incidenti in tutto il paese. Innumerevoli contadini impoveriti preferivano fuggire dai loro villaggi per riciclarsi in giocatori d'azzardo.  

Monjirō nasce in una povera famiglia di contadini nel villaggio di Mikazuki e rischia di essere ucciso dai genitori subito dopo la nascita. Tuttavia, come racconta il narratore, viene salvato dalla sorella maggiore Omitsu. Trascorsa un'infanzia miserabile, Monjirō lascia la famiglia all'età di dieci anni e diventa un "toseinin", cioè un vagabondo disoccupato che vivacchia grazie al coinvolgimento in affari non contemplati nella lista delle comuni attività commerciali. In sostanza, uno dei precursori dello yakuza moderno.



Monjirō, lupo solitario

L'abbigliamento di Monjirō consiste in un paio di "waraji" sfilacciati, uno "tsumaorigasa" ampio e sbrindellato, un "dōchūgappa" logoro e un lungo stecchino in bocca.

I "waraji" sono calzature fatte di corda di paglia che si avvolgono al piede tramite dei lacci. Assomigliano vagamente a dei sandali. Lo "tsumaorigasa" (o "sandōgasa") è un copricapo fatto di corteccia di bambù intrecciata con steli di carice, sagomato sui bordi in modo da coprire il viso. Perfetto per riparare dalla pioggia e dal sole, lo "tsumaorigasa" era indispensabile per chiunque volesse intraprendere un viaggio. Il "dōchūgappa" è un mantello di panno scuro con motivi rigati, privo di cappuccio, e avvolge la parte superiore del corpo dalle spalle alle cosce. Infine, Monjirō tiene sempre in bocca uno stecchino. Lo usa spesso come arma supplementare di disturbo e ciò rappresenterà un suo marchio di fabbrica.

A prima vista, Monjirō appare freddo e privo di emozioni. A mano a mano che la puntata procede viene gradualmente coinvolto in affari loschi e incidenti vari, finendo suo malgrado imprigionato da grovigli morali da cui non riesce a liberarsi se non risolvendo il problema in modo spesso spietato. Tuttavia, Monjirō non si intromette mai di sua spontanea volontà negli affari altrui e non risponde mai alle provocazioni verbali. 

Monjirō evita le strade principali a causa dei frequenti posti di blocco. Preferisce imboccare i sentieri secondari che si incanalano nel profondo delle montagne o attraversare i ripidi passi di montagna. È raro che Monjirō soggiorni in una locanda. Pagare qualche spicciolo per un angolo del fienile di qualche contadino per lui è quasi un lusso. L'opzione di bivaccare all'aperto è sempre dietro l'angolo.

Monjirō non riesce a trovare il suo scopo nella vita. Forse nemmeno lo cerca. L'intrigante figura del lupo solitario distaccato e taciturno è la descrizione più accurata del suo modo di vivere. "Arriva il tramonto e poi sorge una nuova alba. Laggiù c'è un sentiero, perché non percorrerlo semplicemente senza farsi tante domande?" dice Monjirō, individuo che misura sempre le sue parole. 

"Katagishū ni o-oshie dekiru yōna na wa mochiawasete gozansen (Non ho un nome che meriti di essere dichiarato a un katagi)" risponde spesso a chi gli chiede di identificarsi. Va detto che gli yakuza spesso si riferiscono alla gente comune definendole "katagi", cioè le persone rette e oneste.



In origine, la "yakuza" includeva queste categorie di individui: i "fūraibō" (persona che appare dal nulla e scompare nel nulla), i "nenashigusa", erbe senza radici (coloro, cioè, che non hanno un posto dove vivere), e appunto i "toseinin", i viaggiatori vagabondi. 

"Toseinin no sekai ni wa, mikata wa inē. Shinjirareru no wa, jibun dake degozansu (Nel mondo di noi toseinin non esistono alleati. L'unica persona di cui ti puoi fidare è te stesso)" dice spesso Monjirō. 

Non che i vagabondi fossero tutti necessariamente dei criminali. Oltre agli emarginati di vario tipo, la graduatoria contemplava ovviamente gli individui che vivevano al di fuori delle leggi e delle norme della società, quindi i ladri, i furfanti e i delinquenti. In questo senso, c'era una sottile differenza coi tatuati "bakuto" (i giocatori d'azzardo ambulanti) e i "tekiya" (i mercanti itineranti), altri pseudo emarginati che si organizzavano per godere di un sostentamento costante ed erano accettati dalle istituzioni.

Dal 1600 in poi lo shōgunato represse severamente il gioco d'azzardo, considerandolo un reato grave. Trascorso un centinaio d'anni la categoria dei "gamblers" tatuati riemerse alla luce del sole e continuò a operare fino ai tempi moderni. Poi, nel corso del tempo, parecchi di loro vennero inglobati nel calderone di quella che ormai era diventata a tutti gli effetti malavita organizzata. 

Sebbene il telefilm "Monjirō samurai solitario" tratti delle vicende fittizie, descrive perfettamente tutte le categorie che rimasero escluse dal quadro sociale del Giappone di quell'epoca. Sono loro i veri protagonisti di questa serie.

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