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Adachi Mitsuru e il break out di "Nine"

Nel panorama letterario giapponese circola il detto "処女作にはその作家のすべてが出揃っている (shojosaku ni wa sono sakkaa no subete ga desorotteiru)". Tradotto in soldoni, significa che tutta l'essenza di un autore è racchiusa nella sua opera prima. 

Le idee di base che un mangaka sviluppa nella sua opera vergine si ripropongono anche nelle sue opere successive, magari camuffate o rielaborate secondo varie angolazioni, oppure ritoccate ad arte e reinterpretate. In pratica, l'evoluzione della carriera di un autore assomiglia a una scala a chiocciola che conduce fino in cima girando sempre attorno al medesimo fulcro.

Il 1978 è una data rilevante nel panorama dei manga. Per prima cosa debuttò "Urusei Yatsura" (Lamù) e già questo basterebbe a considerarlo un anno fondamentale. Pur scendendo di una spanna, una parte del merito va anche ad Adachi Mitsuru, il quale pubblicò una storia che pescava sì dai contenuti agonistici del baseball liceale, ma con l'aggiunta di un ingrediente base, la "seishun rabucomedi" (o "rabukome"), cioè la commedia romantica adolescenziale, che fino ad allora nessuno aveva osato mescolare a un "gekiga" [nota1].

Ci sono alcuni manga che, indipendentemente dal loro valore, segnano dei solchi, generando considerevoli quantità di epigoni e facendo immediatamente invecchiare quasi tutto il panorama precedente. "Nine" di Adachi Mitsuru può essere considerato come uno di questi manga, poiché riuscì a coniugare dei risvolti adolescenziali fino ad allora riservati a un pubblico femminile abbinandoli a una storia sportiva per maschi.



"Nine", pur con una trama non originalissima, seppe piantare dei germogli che avrebbero messo solide radici nei decenni successivi. Fu così che il "gekiga" che allora imperava in quegli anni spigolosi -caratterizzato da tematiche mature, spesso legate al genere "supokon", dove l'azione sfociava spesso nella violenza- venne colpito da un deciso scossone che lo costrinse a farsi da parte per dare spazio a un nuovo genere ibrido che dominerà il decennio successivo.

Come lo stesso Adachi ci racconta in "Jitsuroku Adachi Mitsuru Monogatari" ("La vera storia del romanzo di Adachi Mitsuru", 1985) e nell'intervista nella rivista "Mangakahon", a quell'epoca, nonostante fosse trascorso quasi un decennio dall'inizio della sua carriera di mangaka, non era ancora stato in grado di sviluppare un lavoro che lo soddisfacesse. 



Era un momento in cui gli ardenti "supokon" avevano raggiunto il loro apice. Adachi racconta che se, in quel momento storico, si fosse azzardato a proporre uno shōnen con influenze shōjo, probabilmente lo avrebbero considerato uno sciocco. Quindi pensò bene che adeguarsi fosse il sistema più semplice per farsi pubblicare qualche storia e si sforzò di adattare il suo disegno al genere "gekiga". 

Per questo motivo Adachi ripete spesso che rileggere i lavori che disegnò a quei tempi gli crea ancora un certo imbarazzo. Il suo disegno ha sempre posseduto dei tratti qualitativi tali per cui le vignette o erano troppo pulite, senza la sufficiente rudezza grafica, oppure non emanavano ciò che i redattori all'epoca chiamavano "ase no nioi", cioè l'odore del sudore. Negli shōnen degli anni Settanta, infatti, abbondavano i disegni "sporchi e spigolosi", tutti azione e urlacci. 

Venne da sé che Adachi si trovò costretto a ritentare la fortuna con il genere shōjo che comunque gli lasciava molta più libertà. Poi, nel giro di qualche anno, al crepuscolo dei Settanta, le riviste per ragazzi virarono un poco la rotta, approcciando anche i temi proposti dagli shōjo manga. Fu così che Adachi venne richiamato alla base. 

Fu allora che in occasione dello sviluppo di di "Nine", Adachi percepì qualcosa, come se finalmente avesse azzeccato la storia perfetta per il suo stile. La sua buona stella volle che, visti gli sviluppi di "Nine", a quello che inizialmente avrebbe dovuto concludersi come l'ennesimo "yomikiri" [nota2] della sua carriera, venne concessa una prosecuzione decisiva.



Adachi si rammaricò del fatto di aver dovuto calcare troppo la mano in chiave "gekiga" nel primo capitolo di "Nine", così come gli aveva indicato il suo soggettista. Perciò, quando gli venne commissionato l'episodio successivo, decise finalmente di esporsi. Di comune accordo con la redazione, proseguì la storia in totale autonomia di idee, organizzando il secondo episodio basandosi sui propri storyboard in stile shōjo che teneva chiusi nel cassetto. Il secondo episodio così concepito si classificò al primo posto nel sondaggio mensile di gradimento dei lettori. 

La scarsa fortuna che fino a quel momento aveva accompagnato l'attività di Adachi mutò nella buona sorte e finalmente l'artista si ritagliò un posto al sole tra i mangaka dell'epoca. "Nine" può essere considerato la base su cui Adachi sviluppò i suoi grandi successi degli anni Ottanta.

Note:

[nota1]: il "gekiga" è un concetto che si riferisce a un tipo di manga che si distingue per il suo stile narrativo più realistico e adulto rispetto al manga tradizionale. Il termine "gekiga" può essere tradotto letteralmente come "immagini drammatiche" o "immagini teatrali".

[nota2]: lo "yomikiri" è una storia breve senza proseguimento, che si conclude in un episodio unico. Capita talvolta che gli "yomikiri", così come funziona con gli episodi pilota televisivi, in seguito si sviluppino in serie più lunghe.

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