Il termine yutori si riferisce a un fenomeno educativo e socioculturale avvenuto in Giappone a partire dagli anni 2000 che ha avuto un impatto profondo sulla scuola, sulle nuove generazioni e sulla percezione sociale di quest'ultime.
La parola yutori significa, a seconda del contesto, "margine", "relax", "spazio", "flessibilità". Ognuno scelga quella che preferisce. Il termine è diventato noto nell’espressione yutori kyōiku, cioè "educazione permissiva", "educazione rilassata", o meglio ancora "approccio pedagogico blando".
Yutori kyōiku indica una riforma educativa introdotta dal Ministero dell'Istruzione per combattere l’eccessivo stress scolastico degli studenti giapponesi.
In realtà, le prime modifiche iniziarono già nei primi anni '90, ma il cambiamento più importante venne introdotto all'inizio degli anni Duemila e si materializzò in una riforma ufficiale del curriculum scolastico.
Le modifiche principali riguardarono la riduzione del numero di giorni scolastici, in particolare l'abolizione delle lezioni al sabato. Gli insegnanti, tuttavia, avevano l'obbligo di presentarsi, in quanto impiegati della scuola.
A seguire, si optò per una riduzione del carico di studio e dei contenuti nei manuali, oltre all'introduzione di lezioni più esperienziali, ovvero attività pratiche e interdisciplinari fin dalle scuole elementari. Infine, si promosse un apprendimento più libero e autonomo, con l’obiettivo di sviluppare nello studente maggiore creatività e spirito critico.
L’intento era allentare la pressione sugli studenti, una vera e propria spada di Damocle, prevenendo così burnout e suicidi giovanili. Tuttavia, molti critici sostengono che la riforma abbia portato un inammissibile abbassamento del livello scolastico generale a carico di una generazione percepita come meno preparata, meno ambiziosa e meno resistente allo stress, quindi incapace di adeguarsi al meccanismo oliato che fa girare la società giapponese.
Recentemente ho avuto una discussione con un signore per aver utilizzato il termine yutori, a suo modo di vedere, con troppa noncuranza. In realtà ero stato volutamente ironico, con l'aggiunta di una punta di sarcasmo. Senza cattiveria, sia chiaro. Ma qui l'ironia e lo scherzare sull’autorità o su alcune sue incompetenze, a quanto pare, non vengono – quasi mai – apprezzati...
Che i giapponesi non accettino ironia e sarcasmo è un fraintendimento culturale parziale, ma non del tutto infondato. Non è che non capiscano, è che recepiscono ironia e sarcasmo in modo diverso rispetto ai contesti occidentali, soprattutto quelli anglosassoni.
Il sarcasmo, l'umorismo che spesso implica una critica pungente o un disprezzo velato, le battute da stand-up comedy come parte integrante della conversazione, sono tutti elementi evitati in un paese dove l’armonia sociale (wa) è un valore fondamentale.
Il sarcasmo è sempre percepito come aggressivo, scortese o disarmonico. In una parola: nocivo. Inoltre, è contrario al principio del tatemae (ciò che si dice per mantenere la facciata sociale), rispetto allo honne (ciò che si pensa davvero).
Il sarcasmo può essere frainteso come maleducazione nei confronti dell’autorità – qualunque essa sia – che difficilmente è oggetto di derisione aperta. Non viene usato in pubblico, né tantomeno apprezzato in ambienti formali.
si desidera ridere o sorridere, foss'anche a denti stretti? Qui si preferisce virare sull'umorismo del manzai, i giochi di parole, i nonsense.
Torno al concetto iniziale: dunque, i giapponesi si vergognano dello yutori?
Domanda molto interessante. La risposta è in gran parte un sì, ma varia a seconda dell'età dell'interlocutore a cui viene posta. Di sicuro, per lungo tempo, il termine yutori è stato un insulto generazionale.
Ma cos'è la yutori sedai, letteralmente la Generazione Yutori?
La definizione si riferisce ai nati tra la fine degli anni '80 e gli anni '90, che da asolescenti frequentarono la scuola durante il periodo di quella riforma.
Questa generazione è spesso (ingiustamente) etichettata come molle, poco competitiva, senza grinta, incapace di resistere alla pressione lavorativa. Ma, da un altro punto di vista, è considerata anche più empatica, aperta, pacifica e attenta al benessere personale.
Per molti adulti, yutori sedai è sinonimo di fragilità, mancanza di spirito di sacrificio, superficialità e soprattutto di assenza di rispetto per la gerarchia.
Alcuni giovani cresciuti in quel frangente, a volte, si autodefiniscono yutori con un misto di ironia e rassegnazione. Altri, invece, lo rivendicano con orgoglio, affermando che la loro generazione non si farà mai abbindolare dalle teorie della forza di volontà fine a sé stessa.
Altri ancora ne provano imbarazzo, specialmente quando sentono di aver ricevuto un’educazione giudicata meno seria o solida della norma.
Frasi del tipo "yappari, yutori da na" (tra dotto come "tipico dello yutori, eh?", oppure "sei proprio uno yutori, lo sai?") per molto tempo si sono utilizzate per "accusare" qualcuno sottolineando un suo errore banale o un atteggiamento poco serio.
Dunque, si respirò come un senso di fallimento nazionale? Ebbene sì: per il governo, lo yutori kyōiku fu un fallimento educativo. Il livello accademico interno calò di brutto e il Giappone scese nei ranking internazionali, superato dai rivali di Corea e Taiwan.
Questo rafforzò l’idea che lo yutori kyōiku fosse stato un errore di percorso e, di conseguenza, qualcosa di cui vergognarsi. Perciò, negli anni 2010 si fece dietrofront, tornando a una scuola più esigente.
Ma la questione riguardante lo yutori non è solo educativa, è anche identitaria. Chi crebbe negli anni 2000 dovette trovare il proprio posto sgomitando in una società in cambiamento, affrontando i valori della tradizione, i pregiudizi, la pressione scolastica, il burnout giovanile e l'immancabile contrasto generazionale. Quella massa di giovani affrontò il mondo del lavoro e le relazioni in una società prevenuta che l'aveva giudicata negativamente a priori e la guardava con sospetto e superiorità.
Esiste anche un'altra narrativa. Infatti, alcuni educatori, genitori e intellettuali difendono ancora oggi i principi dello yutori: più tempo libero, meno stress, più creatività.
Secondo loro, il problema non fu il principio, ma l’esecuzione approssimativa e la mancanza di veri supporti alla crescita personale. Tuttavia, in gran parte della società, ancora legata alle aziende tradizionali, è rimasto il concetto di vergogna e disprezzo.
Al tempo, ricordo come si denigrassero gli yutori dicendo che non sapessero nemmeno usare un fax! Oppure si diceva che gli yutori interpellassero il proprio capo solo per dirgli che erano stanchi e gli serviva una pausa. O che sarebbero tornati a casa all'orario stabilito, senza fermarsi per gli straordinari o per gli immancabili nomikai, cioè gli incontri organizzati dopo l'orario d’ufficio tra colleghi di lavoro allo scopo di socializzare in modo informale bevendo alcolici insieme. I nomikai non sarebbero formalmente obbligatori, ma rifiutare di andarci, soprattutto quando viene organizzato da un superiore, può essere visto come mancanza di spirito di gruppo.
Questo atteggiamento rifletteva lo spirito di quella generazione: evitare lo stress, cercando comunque di agire con efficienza, ma senza sprecare troppe energie per partito preso.
I più spavaldi affrontavano il "nemico" a viso aperto: "Sì, sono della generazione yutori. E allora? Cosa vuoi da me?"
Inevitabilmente, giunse la fine: se ben ricordo, fu a partire dal 2010 circa che le autorità decisero di abbandonare ufficialmente l’approccio dettato dallo yutori kyōiku, reintroducendo contenuti e rigore nel curriculum. Si concludeva così il tentativo più concreto di umanizzare l’istruzione giapponese.
La riforma nata con buone intenzioni creò invece uno sconquasso che finì per suscitare forti reazioni sociali, lasciando un segno duraturo nella cultura giapponese, nella scuola e nel mondo del lavoro. E ovviamente, anche nel mondo dei manga...
(continua)
Commenti
Posta un commento