Il manga "Ninja bugeichō - Kagemaru den", realizzato tra il 1959 e il 1962 da Shirato Sanpei, scosse l’animo dei giovani lettori e influenzò profondamente la società dell’epoca. Ambientato nel periodo Sengoku, narra la storia epica e complessa di Kagemaru, uno shinobi che guida le rivolte contadine.
Il racconto intreccia vendette, lotte per il potere tra signori feudali e il mondo segreto degli shinobi, ed è corredato da scene di morte a dir poco cruente: arti recisi, teste mozzate e cadaveri a non finire.
Shirato non si limitava a rappresentare la crudeltà. Da un lato mostrava la dura realtà secondo cui anche la giustizia, priva di forza, è destinata alla sconfitta; dall’altro, raccontava il continuo lottare dei contadini oppressi che si ribellavano contro le disuguaglianze sociali, sottolineando la tenacia di chi, pur sconfitto più volte, continuava a insorgere e a combattere, senza mai abbandonare il proprio ideale.
Quelle parole suggerite ai movimenti studenteschi
È particolarmente interessante notare come un’opera tanto epocale e rivoluzionaria sia emersa non dall’industria centrale del manga, ma da un settore marginale come quello del gekiga da prestito.
"Ninja bugeichō", che inizialmente suscitò un modesto entusiasmo, attirò via via l’attenzione di studenti e intellettuali durante la fase storica più "rossa" del Giappone. Il fatto che Shirato affrontasse tematiche come la lotta di classe, perfettamente in sintonia con l’atmosfera sociale del tempo, col Sessantotto alle porte, contribuì alla sua diffusione, fino a farne una sorta di “bibbia” per molti studenti.
"Gli universitari leggono manga!": questa frase, all’epoca, appariva piuttosto insolita e ironica. Infatti, i media schierati col governo la manipolavano con un certo umorismo. Fino ad allora, i manga erano considerati qualcosa da "superare e smaltire" naturalmente con l’età. Ma quella generazione fu la prima a non "sganciarsi" mai dai manga.
Proprio quegli "universitari che leggono manga" hanno formato per lungo tempo la fascia alta del pubblico dei lettori.
Mi ricordo che circa trent'anni fa, vedere un impiegato di mezza età leggere un manga era già diventato normale, ma si pensava che la fascia dei lettori di manga si fermasse alla metà dei quarant’anni, che oltre diminuisse drasticamente.
Oggi, invece, quel limite si è esteso fino ai settant'anni passati, mentre si fa sempre più spazio la voce per cui sarebbero proprio i più giovani ad avvicinarsi con sempre più fatica ai manga.
"われらは遠くから来た。そして遠くまで行くのだ..." (Warera wa tooku kara kita. Soshite tooku made iku no da...). L'epitaffio di Kagemaru prima di essere giustiziato si diffuse tra i movimenti studenteschi della fine degli anni sessanta, segno della profonda risonanza dell’opera.
"Veniamo da lontano, e ci spingeremo lontano", nel senso di "abbiamo fatto molta strada e ne faremo ancora molta". Parole che, racconta una versione, furono riprese nientemeno che dalla celebre frase di Togliatti del 1947.
Mentre un'altra teoria racconta che l’autore, figlio di un pittore e quindi con una profonda conoscenza dell’arte, la trasse ispirandosi al titolo della monumentale tela di Gauguin "Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?".
Manga marxista?
Molti critici lo definirono un “manga marxista” o “manga con visione materialistica della storia” (唯物史観漫画, che si legge yuibutsu shikan manga).
Quando si parla di "yuibutsu shikan manga", si intende un fumetto che rappresenta la storia attraverso una lente marxista, cioè che mette in primo piano le masse popolari (contadini, artigiani, servi.), non gli eroi o i nobili. Inoltre, analizza le cause economiche e materiali dietro gli eventi storici, mostrando la lotta di classe e i meccanismi di oppressione sistemica.
"Ninja bugeichō Kagemaru den" è un esempio perfetto: racconta le rivolte contadine contro il potere dei samurai.
Kagemaru, pur essendo uno shinobi, non è al servizio del potere, ma si schiera con gli oppressi. La storia sua mostra le cause materiali della sofferenza, non solo le motivazioni personali del protagonista.
Tuttavia, Shirato ha sempre sostenuto che la sua motivazione era umanistica e narrativa, non ideologica. Una storia esistenziale, poetica e profondamente umana.
Kure Tomofusa, celebre critico letterario, espertissimo di manga, commentando l'opera disse: "È stato definito un manga di visione storica materialista, ma questa è una lettura assolutamente superficiale. Ogni personaggio è delineato con grande cura e distinzione, tanto che ognuno di loro possiede un tale fascino da poter essere protagonista: è un’opera di primissimo livello."
Kure sostenne che l’etichetta marxista fosse riduttiva, e che l'opera fosse profondamente umana, complessa e polifonica, e andasse oltre l’ideologia focalizzandosi sull’esperienza umana.
"Era sorprendente vedere come Shirato decidesse il nome di un farmaco ninja contro i cani delle guardie basandosi su espressioni trovate in testi scritti durante l’epoca Edo. La sua lettura dei materiali era meticolosa".
Kure si riferisce alla tecnica segreta chiamata "犬万, inuman", ovvero "diecimila cani", e consiste nel controllare i cani a proprio piacimento.
Shirato era un acuto osservatore della natura (spesso, le tecniche shinobi descritte denotavano una profonda conoscenza delle erbe medicinali), oltreché un appassionato di ricerca che non disdegnava di immergersi nella lettura di una mole imponente di documenti per creare una base solida alle sue opere.
Shinobi e ninja
Gli shinobi dei vecchi jidaigeki (dramma storico) erano spesso ridicoli, ritratti come personaggi che cavalcano rospi giganti, stringendo pergamene tra i denti, in una sorta di estensione dei racconti popolari.
Al contrario, i ninpō (metodo della perseveranza) descritti da Shirato non erano mai magie, ma tecniche fisiche, scientifiche, e veri e propri metodi di combattimento.
La parola "ninpō" (忍法) è composta da due ideogrammi: 忍 (nin) è quello fondamentale che comunica visivamente e concettualmente l’idea di sopportazione, di pazienza sotto pressione, del resistere senza cedere, anche sotto minaccia o dolore.
In pratica, il controllo delle emozioni per uno scopo superiore.
È proprio per questo che viene associato al concetto di ninpō, cioè "metodo della perseveranza": dunque, non solo combattimento, ma disciplina mentale e autocontrollo.
Come verbo, 忍 (nin) si può declinare e diventa 忍ぶ (si legge shinobu).
Oltre a "sopportare" o "tollerare in silenzio", "shinobu" significa anche "nascondersi", o "agire nell'ombra".
Nel periodo medievale, la figura che oggi chiamiamo "ninja" era comunemente detta "shinobi no mono" (忍びの者), letteralmente "persona che si nasconde". Poi, col tempo, si è abbreviato semplicemente in "shinobi".
Passiamo al secondo ideogramma di ninpō, cioè 法 (hō): significa "metodo" o "legge" e indica i principi, le regole o i metodi secondo i quali vengono eseguite le azioni o si raggiungono gli obiettivi.
Quindi, insieme, ninpō rimanda letteralmente a un "metodo della perseveranza legato agli shinobi" ed è spesso associato alle tecniche e alle strategie utilizzate dagli shinobi in vari aspetti delle loro pratiche, comprese le tecniche di spionaggio, l'infiltrazione, la guerriglia e altre abilità specializzate.
Fu dunque Shirato Sanpei a elevare il concetto di ninpō, dando finalmente lustro alla figura dello shinobi (ninja).
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