La storia di “Ashita e Attack!” si divide grosso modo in due filoni: la Saga di Ichijo Asuka (la bionda Jenny) e la Saga dei tornei scolastici (entrambi i nomi li ho deciso io, arbitrariamente...).
All’inizio, la trama ruota molto attorno al comportamento ribelle di Asuka e alle difficoltà del gruppo nel gestirla. Anche Rumi Shiraki (nella versione italiana, Rumi O’Brian), del club di basket femminile, all’inizio è davvero odiosa e provoca con cattiveria il club di pallavolo. Rumi mostra quel comportamento meschino e velenoso tipico delle ragazzine ricche malcresciute. Ma ciò diverte è che, a parte Rumi, tutte le sue compagne di squadra sono disegnate come delle racchie. Evidentemente lo sceneggiatore aveva puntato tutte le risorse su di lei, trascurando completamente le altre.
La fatica della scalata
Inizialmente, Mimi si confronta con molti problemi: le angherie della Shiraki, la mancanza di un comitato di supporto, nessun fondo, nessuna uniforme, nessun insegnante supervisore. Nel frattempo, Asuka continua a creare attriti e ulteriore confusione.
Lo supokon è sempre in agguato.
La pallavolo prevede sei giocatrici. Dato che il club ha esattamente sei elementi, ogni volta che una ragazza si fa male o perde motivazione, partono i tormentoni “non possiamo giocare in cinque” oppure “non ha senso allenarci se tanto non possiamo giocare”. Succede così spesso che viene da dire “Ancora questa storia?!”
Non potevano aggiungere subito due o tre riserve in più? Invece, occorrerà più della metà della storia per risolvere il problema delle giocatrici contate. Sei giocatrici senza riserve, la maggior parte priva di esperienza: una situazione al limite che rappresenta un classico di uno supokon sportivo.
Mimi non ha un attimo di tregua. Ignoravo che esistessero dei comitati di supporto scolastici per i club sportivi. Anche l’esistenza delle riunioni dei giovani presidenti di club per decidere la ripartizione del budget annuale tra i club sportivi è stata una scoperta.
Quando, finalmente, le ragazze riescono a formare una squadra, il primo incontro di allenamento è contro una squadra maschile di pescatori in pausa rientrati dopo una lunga trasferta di lavoro: una semplice partita improvvisata contro dei dilettanti che il Tachibana riesce persino a perdere.
Ma proprio condividendo l’umiliazione della sconfitta, si rafforza il desiderio collettivo di rialzarsi. Il Giappone dello supokon insegna: quando si ha un obiettivo comune riconoscibile, la forza dell’organizzazione inevitabilmente cresce.
Le rivali e gli “omaggi” all’altra Mimì.
La seconda parte è dedicata alle partite del torneo scolastico estivo chiamato Inter-High. La storia si svolge nell’arco striminzito di circa sei mesi, dall’inizio del semestre di aprile al campionato estivo nazionale che coinvolge i migliori licei e si tiene ogni anno ad agosto nell'ambito del cosiddetto “Incontro Sportivo Nazionale delle Scuole Superiori”, abbreviato in Inter-High. Era uno dei tre principali tornei scolastici, insieme al Campionato Giapponese di Pallavolo delle Scuole Superiori di Primavera (Haru Ko Baare) e al torneo nell’ambito dei Giochi Nazionali della Gioventù (Kokutai). Poi, dal 2010, si è deciso di modificare il calendario dei tornei per agevolare gli studenti del terzo anno.
Come da tradizione in questo tipo di opere, a un certo punto spuntano delle rivali dotate di tecniche eccezionali. Tra queste rimangono impressi alcuni personaggi stravaganti e affascinanti che però, purtroppo, non vennero sfruttati appieno, lasciando una sensazione di potenziale inespresso.
"Ashita e Attack!" contiene numerosi elementi che possono essere interpretati come omaggi al celebre "Attack No.1". L’elemento più immediato è che il liceo Tachibana è situato in una città portuale, proprio come lo era il liceo Fujimi.
A seguire, Hattori Kyoko, ragazzina benestante che si allena nella sua villa con un macchinario per le schiacciate e inventa un colpo speciale che mira al volto dell’avversaria. Una vicenda praticamente identica a quella del personaggio di Mihara Yumiko in "Attack No.1".
Molte tecniche sono al limite del bizzarro: il liceo Daisetsuzan che proviene dal nord del Giappone sfrutta delle battute che sfidano la gravità, salendo invece di scendere appoggiandosi al servizio chiamato “Battuta Tempesta di Neve". E come non menzionare la squadra del liceo Kakinoki, che si affida a una studentessa di un metro e novanta, un’altezza impressionante per quei tempi?
Gli omaggi ad "Attack No.1" si sprecano.
C’è l’attacco “Danza del Drago” del liceo Ryūsei di Nagasaki: in pratica, una combinazione a sei giocatrici del famoso attacco delle tre “sorelle K” dell’altra Mimì. Anche il modo per contrastarlo è identico: ognuna delle ragazze del Tachibana dovrà marcare una sola avversaria.
Da segnalare il Piano Computerizzato e l’uomo misterioso con la telecamera del Liceo Rinsen, espedienti simili a quelli proposti dal Tōnan Gakuen dell’altra Mimì, incluso l’allenamento in stile robotico.
Nel match finale contro lo Shijōdōri, le avversarie sfoderano una tecnica combinata che sembra un numero da circo! Una fa una capriola in avanti mentre le altre due si preparano a schiacciare, confondendo l’avversaria che non capisce quale delle due colpirà la palla.
Valutazione grafica e narrativa
I fondali dettagliati come da tradizione dalla Nippon Animation hanno reso quest’opera abbastanza curata per gli standard dell’epoca.
Credo che nel valutare la qualità complessiva di un’opera non abbia più senso distinguere tra nuovo e vecchio. L’ideale sarebbe affrontare ogni opera senza preconcetti generazionali e godersela così com’è. Se una serie è datata, nessun problema, va bene così. Per inciso, guardando alcuni anime recenti, mi capita spesso di notare come una grafica bellissima sia abbinata a una trama o una regia scadenti.
Lo stile grafico è gradevole. L’anime è datato, ma il character design è semplice e pulito e le animazioni sono più fluide rispetto ad altri anime dell’epoca.
Putroppo, la trama di "Ashita e Attack!" è nel compleso banale. La sceneggiatura e la regia mancano di quel pizzico di incisività in più e ciò abbassa la qualità complessiva. Soprattutto, a mio parere, manca quell’energia travolgente e la risonanza coi tempi che avevano reso "Attack No.1" così coinvolgente e che rappresenta l’essenza dello supokon.
In compenso, abbondano le scene in cui le giocatrici si allenano all’alba o al tramonto, nei campi o sulla spiaggia, certi scenari, le scuole rivali, le uniformi, le abitazioni dell’epoca Shōwa. Questo anime avrebbe tutto il necessario per scatenare una buona dose di nostalgia nei giapponesi. Vederlo è un po’ come intraprendere un viaggio nel tempo e viene spontaneo pensare alla semplicità e alla spensieratezza di quell’epoca.
Per non parlare del cast vocale. Infatti, ricontrollando la lista dei doppiatori, la cosa più sorprendente è la straordinaria qualità del cast dei doppiatori giapponesi. Non solo i protagonisti principali, ma anche i personaggi secondari vennero interpretati da attori noti e talentuosi. Oggi molti doppiatori sono delle celebrità, ma all’epoca erano figure poco considerate. È notevole che un’opera così di nicchia sia riuscita a raccogliere tanti nomi illustri.
Uno supokon femminile anni '70 vagamente incompiuto
Riguardandolo nel 2025, per essere uno supokon femminile vecchio stile, “Ashita e Attack!” non è male. Come detto, si tratta di un’opera che doveva raccogliere l’eredità pesante delle appassionanti storie di pallavolo che imperversavano all’inizio degli anni ’70.
Anche se la premessa della ricostruzione del club sportivo è interessante, dal punto di vista della struttura narrativa l’opera non riesce a scrollarsi di dosso la sensazione di essere un clone di titoli come "Spike 1 2 3" o "Attack No.1". Tuttavia evita alcuni eccessi melodrammatici di "Attack No.1" e soddisfa chi non apprezza l’esagerata frivolezza anni ‘80 di "Attacker YOU! (Mila e Shiro)".
“Ashita e Attack!” manca di un fascino particolare o di elementi spettacolari e perciò, anche volendo essere generosi, si ferma a un'opera discreta. Semplicemente, l’intero concept risultò ormai fuori tempo per l’epoca. Forse, avrebbe funzionato meglio come manga, mentre come anime trasmesso a livello nazionale, semplicemente non era adatto al momento. Non che fosse una cattiva produzione, ma propose delle dinamiche e dei contenuti anonimi e poco avvincenti. All’epoca, gli anime erano dominati da trame esagerate e spettacolari e uno scenario ordinario ambientato in un club scolastico risultò troppo banale e poco attraente, incapace di catturare l’interesse degli spettatori.
Alcuni difetti
Sebbene la storia mostri dei tratti spigolosi, come il carattere duro di Asuka nella prima parte o le angherie della capitana del club di basket, non si percepisce la presenza morbosa di un personaggio cattivo. Anche se gli allenamenti sono rigorosi, per essere uno supokon femminile vecchio stile si nota scarsa durezza psicologica.
Asuka, inizialmente isolata, si integra gradualmente nella squadra. Pur senza un vero approfondimento del loro rapporto, le ragazze della squadra mostrano una certa individualità. Anche le atlete rivali sono guidate da un senso dello sport sano e sereno, il che è piacevole da vedere.
Ma se è vero che ci sono pochi momenti spiacevoli, va detto che quelli veramente drammatici, il sale di ogni storia, sono quasi assenti.
Sembra che le squadre si affrontino in modo quasi piatto. Lo sviluppo delle partite è ripetitivo e prevedibile: il Tachibana viene sorpreso e sopraffatto dalla tattica avversaria → il coach interviene in maniera blanda → le ragazze si riprendono psicologicamente e contrattaccano.
Nonostante gli scambi movimentati che caratterizzano uno sport istantaneo come la pallavolo si notano troppe immagini statiche. Anche le dinamiche mentali e le strategie sono trattate superficialmente. La finale è completamente priva di tensione e si conclude in modo sbrigativo.
La sigla che è rimasta nel cuore
Nell’episodio finale, terminato il loro ultimo anno di liceo, seppur abbiano vissuto un anno da sogno, Mimi e Asuka si avviano verso strade diverse. Le due riflettono sul loro futuro dopo il diploma.
Durante la sigla, le protagoniste sorridono, circondate da crisantemi bianchi in piena fioritura, e pur tenendosi per mano si allontanano in direzioni opposte.
La sigla cantata da Horie Mitsuko, un testo struggente e malinconico, accentua ulteriormente questa emozione. Il titolo stesso, “Ashita e Attack!” (Attacco verso il domani!), esprime questa voglia di lottare per un futuro migliore. L’opening song rimane un brano molto apprezzato da una certa generazione e potrebbe capitare di risentirlo ancor’oggi in qualche sperduto karaoke di provincia.
Ecco la mia traduzione in italiano della sigla giapponese (si può confrontarla col testo di quella italiana cantata da Giorgia Lepore).
“Il vento non dice nulla, ma...
la palla bianca e il campo azzurro...
di certo mi indicheranno...
che colore ha il giorno chiamato “domani”...
che colore ha la cosa chiamata “sogno”.
Perciò, perciò, con il sudore sulla fronte...
Attacco verso il domani, il domani, il domani.”
“Nessuno dice nulla, ma...
le compagne di squadra che hanno condiviso con me...
la tristezza di ieri...
mi stanno aspettando...
Che colore ha il giorno chiamato “domani”?
Che colore ha la cosa chiamata “amore”?
Perciò, perciò, stringo forte le mani unite...
Attacco verso il domani, il domani, il domani.”
“Ora non riesco a vedere nulla, ma...
quando risuonerà il fischio d’inizio della partita...
dentro di me sgorgherà...
la voglia di lottare che mi dà la giovinezza...
Che colore ha il giorno chiamato “domani”?
Che colore hanno i giorni della “giovinezza”?
Perciò, perciò, affido un desiderio al cielo di oggi...
Attacco verso il domani, il domani, il domani.”
Anche se "Ashita e Attack!" fu definito un mezzo fallimento, penso che sia un anime meritevole, che vale la pena vedere. Lo consiglio a chi ama le storie sportive sincere e poco pretenziose.
Ah ecco vedi qualcosa lo ricordavo bene! Le ragazze in uniforme che si tengono per mano! L'RSA può aspettare ancora un pochetto!
RispondiEliminaTi dirò: la Mimì Ayuhara non sono mai riuscito ad apprezzarla. Questo anime invece lo riguarderei volentieri. Non so il perché.
Forse è come hai detto nel primo post: non ha avuto successo perché mancava il fan service!
Ciao Giù
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